La risposta dell’ultimo Global Gender Gap report del World Economic Forum alla domanda “quanto manca alla parità di genere” è 134 anni. La stima fa riferimento a una parità di genere globale, quindi considerando lo stato di avanzamento di tutti i Paesi del mondo, ma i dati sul gender gap in Italia suggeriscono che il nostro Paese non sia fra i principali fautori della riduzione di questa media. Secondo il report, infatti, l’Italia ha chiuso il 70% del divario di genere: è una percentuale significativa, ma indica che c’è ancora una consistente parte di strada da fare.
Analizziamo la situazione del gender gap in Italia sotto diversi punti di vista, per capire dove siamo arrivati e quali sono le direzioni da intraprendere per colmare completamente il divario nei prossimi anni.
Gender gap: Italia ed Europa a confronto
Per capire come mai quel 70% di divario colmato non sia ancora sufficiente, è utile fare un confronto con il resto d’Europa, ovvero con i Paesi più vicini a noi per contesto socio-economico-culturale.
La classifica dei primi 10 Stati del mondo per parità di genere vede ben 7 posizioni occupate da Paesi europei, con Islanda, Finlandia e Norvegia sul podio, a cui si aggiungono Svezia, Germania, Irlanda e Spagna. L’Italia si colloca all’87esima posizione su 146 Paesi nel mondo, perciò ha perso 8 posizioni rispetto al report Global Gender Gap dell’anno precedente. Nella classifica europea siamo al 37esimo posto. La distanza rispetto agli altri principali Paesi europei si traduce in un 23% circa di differenza di divario rispetto alla prima classificata (Islanda) e un 9% rispetto alla decima (Spagna).
La media europea vede colmato il 75% del divario. Ci stiamo avvicinando alla media, quindi, ma abbiamo ancora da lavorare: scopriamo quali sono gli ambiti in cui il gender gap in Italia risulta più profondo.
Partecipazione economica femminile: un settore critico
Il settore della partecipazione delle donne al lavoro è quello in cui il gender gap in Italia è più intenso: siamo alla posizione 111 in classifica, perché nel nostro Paese poco più della metà delle donne lavora. Il 53% circa delle donne italiane (15-64 anni) è occupato, contro il 70% circa di media europea (ISTAT2024). Va sottolineato, però, che l’occupazione femminile in Italia è ai suoi massimi storici, quindi la tendenza è comunque positiva.
Questi dati derivano da un fattore culturale, che ha visto e vede l’Italia faticare a staccarsi dallo stereotipo della donna casalinga, e da un fattore socioeconomico, che vede le aziende e le istituzioni in difficoltà nel rispondere alle esigenze della maternità, costringendo spesso le donne a scegliere tra famiglia e carriera.
Per le donne occupate, inoltre, si stima un divario salariale del 16% rispetto ai colleghi uomini che fanno gli stessi lavori, che deriva sia da trattamenti discriminatori sia dal più ampio utilizzo del part-time da parte delle donne, non sempre volontario, per motivazioni di solito legate alla gestione familiare.
Un altro dato critico riguardante le donne nel mondo del lavoro in Italia è che esse ricoprono solo il 28% delle posizioni manageriali, contro una media globale del 36,4%. Sono in aumento, grazie ai mirati interventi legislativi più che a un sentito cambiamento culturale, le donne presenti nei consigli di amministrazione (42% di presenza femminile).
Salute e istruzione: gender gap al minimo
I settori in cui il gender gap in Italia è quasi completamente colmato sono quelli della salute e dell’istruzione.
Nell’ambito definito dal report “salute e sopravvivenza” tutti i Paesi del mondo si posizionano sopra il 93% e l’Italia raggiunge un 95% di divario colmato: significa che la salute della donna viene tutelata quasi al pari di quella dell’uomo e le probabilità di sopravvivenza dei due sessi sono pressoché le stesse.
Ancora meglio in Italia va il settore dell’istruzione, dove la parità tra i generi è quasi raggiunta: abbiamo colmato il 98% del divario. Le donne, inoltre, hanno mediamente titoli di studio superiori rispetto agli uomini. Questi dati di per sé positivi, tuttavia, nascondono un’altra forte disparità: solo il 18% delle donne laureate in Italia arriva da un percorso STEM. Uno sbilanciamento che non si spiega solo con una genuina mancanza di interesse delle donne per gli studi scientifici e tecnologici, bensì soprattutto con la difficoltà di sradicare gli stereotipi che confinano la predisposizione femminile alle materie umanistiche e alle professioni di cura.
Gender gap e finanza in Italia
Il settore della finanza è uno di quelli in cui il gender gap in Italia è ancora rilevante, rispetto all’analisi della parità di genere finanziaria che abbiamo fatto l’anno scorso, non ci sono miglioramenti eclatanti, anche se la tendenza è positiva.
- Cresce l’interesse delle donne per l’educazione finanziaria, ambito nel quale possiedono meno conoscenze rispetto agli uomini
- Le donne sono mediamente meno soddisfatte della propria situazione economico-finanziaria rispetto agli uomini e il 38,8% delle donne prova “ansia finanziaria” contro il 27% degli uomini.
- Le donne fanno meno investimenti rispetto agli uomini e hanno una inferiore propensione al rischio.
(fonte: rapporto Edufin 2023)
- L’accesso al credito è più difficile per le donne rispetto agli uomini, sia in ambito imprenditoriale sia in ambito personale.
- Solo il 20% dei consulenti finanziari in Italia sono donne.
- Nelle banche la percentuale di donne in posizioni manageriali e nei consigli di amministrazione è inferiore alla media delle altre imprese. (fonti: Morningstar, Federazione Autonoma Bancari Italiani, J.P. Morgan).
Opstart per la parità di genere
Come ogni anno, Opstart dedica il mese di marzo al tema del gender gap in Italia, con approfondimenti e interviste su varie sfaccettature di questo problema nel blog. Per il terzo anno consecutivo, inoltre, Opstart promuove un’iniziativa a favore dell’accesso femminile agli investimenti finanziari, riconoscendo un extra 0,5% di interessi alle donne che investono in campagne di lending crowdfunding fino al 31/03.
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